Il signor Hudson

Dec. 21st : on the way to Philadelphia
The Last Voyage of Henry Hudson, ( John Collier 1850-1934)

Ogni volta che attraverso l’Hudson mi appare in sovrimpressione la faccia del suo grande esploratore, gli occhi spiritati, i peli della barba congelati. La vita di questo temerario, che ha dato il nome a baie e fiumi, si è svolta in fretta fra il 1565 e il 1611, ed è una delle tante fatte di genialità e inconcludenza, nel senso che, ossessionato dalla ricerca, Henry non trovò mai ciò che si era messo in testa di trovare (venire a conoscenza di tipi così mi riempie di immensa consolazione). Salvo trovare molto di più. Per sbaglio. Come spesso accade. (Ancora più consolazione!).
Henry era inglese, di lui poco si sa. Si sa che fosse sposato con una donna di nome Kathrine con la quale, oltre ad averci fatto tre figli, non deve aver condiviso granché, vista la scarsa permanenza in patria. Ma erano i tempi di chi aveva il terreno sempre in fiamme sotto i piedi. L’epoca in cui le più grandi flotte d’Europa puntavano ad attribuirsi fette di mondo importanti, e cercavano esploratori capaci di andare a rivendicarne l’appartenenza in nome della loro corona. Arrivare in un punto del globo dove nessuno era mai giunto prima e dargli il proprio nome!

Baia di Hudson, Stato dell’Ontario, Canada

Colombo era morto da un pezzo, l’esplorazione adesso puntava a nord. Era di essenziale importanza strategica trovare un passaggio per l’Oriente che non fosse ostacolato dai ghiacci. E Hudson ci voleva riuscire. Provate a pensare all’azzardo e al coraggio necessari all’impresa, ma soprattutto allo stupore che ne doveva derivare : incolmabile, inesprimibile. E, non per ultima, la tenacia.

Henry William Hudson compie quattro spedizioni importanti, nelle condizioni più estreme: due viaggi artici, due atlantici. Navigante autodidatta, pare avesse imparato da sé ad andar per mare, imbarcandosi – fra un figlio e l’altro – un po’ con questa un po’ con quella compagnia.

Finalmente, nel 1607 la Muscovy Company, una ditta inglese, gli affida il primo incarico importante : trovare una rotta che conduca all’Asia. Henry accetta di buon grado e trascinandosi appresso il figlioletto, e un segretario di fiducia, blogger di bordo, per capirci, si imbarca nell’avventura. Partirà a primavera, puntando a est, ma ben presto sarà costretto a fare dietrofront per le condizioni climatiche avverse. Buco nell’acqua? Non del tutto.Riferirà ai committenti delusi di aver avvistato balene in abbondanza, sapendo che con quell’informazione avrebbe placato alcuni animi, rassicurandoli su cacce e commerci futuri.
Quindi il secondo viaggio, peggio del primo. Riuscirà giusto a raggiungere il mare artico e un mucchietto di isole russe, dopodiché altro dietro front per colpa del ghiaccio impenetrabile. Nel 1609 si arruola nella Compagnia delle Indie Orientali come comandante, per conto degli olandesi. Al timone della Mezzaluna e con l’obbiettivo – ormai chiodo fisso – di scoprire un passaggio verso l’Asia. Punta allora alla Russia. E di nuovo i dannatissimi ghiacci a ostacolare la rotta. Ma lui non si dà per vinto e questa volta, contro ogni pronostico e previsione non torna a casa (a fare che?! Un altro figlio? Naaa…).

No, stavolta si va al contrario, si vira a Ovest, si bypassa il destino avverso, un po’ come quando si ha fretta e l’ Aurelia è congestionata allora si tenta la Variante (!), solo che qui si parla di Poli e mari del nord, signori miei, Oceani Atlantici piuttosto che Pacifici.

Pare che Henry avesse sentito parlare della rotta seguita da John Smith (il fidanzato di Pocahontas, per capirci, ma Henry non è un donnaiolo, le sue fisse sono altre, altri i passaggi che vuole esolorare (!)).Punta dunque verso l’America del Nord, e ai primi di luglio approda in Nova Scotia, Canada. Incontra i Nativi locali con i quali instaura rapporti pacifici, (dirà, “I nativi sono un popolo pacifico e tranquillo, visto che ci congedavamo, hanno spezzato e poi bruciato archi e frecce temendo che avessimo paura di loro!”). Discende lungo la costa e arriva a Chesapeake Bay , quindi altra virata per ritornare, costa costa, su su fino alla baia di New York, già esplorata da Verrazzano nel 1524, dove subisce una perdita, per mano degli Indiani, e gli tocca seppellire un suo uomo.
Ma non si ferma. Decide di risalire quel fiume che gli sarà fatale ma che immortalerà per sempre il suo nome.

Aerial view of Brooklyn Bridge over Hudson River.

Mentre vi racconto questa storia sento la febbre che sale, ho le guance in fiamme e il corpo in pezzi, si è aggiunta la nausea e anche un po’ di cistite, che considerando che manca ancora un’ora all’arrivo a Philadelphia… E’ in queste circostanze che pensare ai grandi aiuta, immagino Henry che le tenta tutte per spiegare il suo piano agli indiani, a gesti, con quel poco aiuto dell’interprete di turno. Lo vedo che gesticola per far capire che ha bisogno di aiuto, che i suoi compagni cominciano ad averne le balle piene di questo passaggio favoloso di cui si va blaterando, e lui l’ha capito, ha capito che vogliono tornare a casa. E di certo non hanno animi benevoli.

Sono quelli come Henry i miei fari: quelli che non rinunciano mai, che non si arrendono incalzati dagli infingardi, dagli opportunisti che tentano di dissuaderli, di farli sentire sbagliati e pazzi; quelli che, Ma chi te lo fa fare, hai il tuo stipendio, riga dritto e lascia stare la gloria, lascia stare i sogni, lascia l’ascia!

Ma è tempo di rientrare, il passaggio non si trova, il bilancio non è certo magro: un nuovo Trade Post è stato garantito: Verazzano si era limitato a passare, Hudson si è adoperato per restare, per stabilire il vero primo commercio – pacifico e proficuo – con gli indiani di Manhattan, che grazie a lui per un po’ si chiamerà Nuova Amsterdam.
Qualcuno però lo sta aspettando al varco, qualcuno non troppo contento che un inglese vada a mietere onori per un altro paese. I suoi connazionali lo bloccheranno prima dell’arrivo, Come si è permesso di andare per mari e baie e fiumi per conto di un’altra Corona? Vietata qualunque esplorazione che non sia per conto di sua Maestà. Se vuoi continuare a esplorare, fai pure: ma devi farlo per noi!

Sono queste le situazioni in cui il compromesso emana sì un puzzo insopportabile ma pur sempre tollerabile in nome del destino finale: il passaggio, quel passaggio a Nord-Ovest andava trovato.

Il 10 aprile 1610 ha dunque inizio il quarto e ultimo viaggio di Henry Hudson, a bordo della Discovery, con sé di nuovo il figlio John e l’amico blogger Juet. Henry attraversa l’Atlantico e punta a nord, verso la Groenlandia, che costeggia, doppia, per poi dirigersi verso il Canada, passando attraverso lo stretto che in seguito porterà il suo nome. Una volta dentro quella che sarà la “sua” baia, si accorge che non ci sono sbocchi, è in trappola in mezzo ai ghiacciai e le risorse cominciano a scarseggiare. Fra l’equipaggio serpeggiano i malumori , sono acque inospitali, ardue, che mettono tutti a dura prova, e  saggiamente Hudson decide di attendere il disgelo, ma solo per poi proseguire nella ricerca, di rinunciare non se ne parla: il passaggio! Il dannato passaggio è tutto ciò che conta. A giugno la nave può rimettersi in viaggio, le condizioni sono migliorate, ma a questo punto il sogno si infrange e i compagni si ammutinano. Il fedele blogger di bordo, Robert Juet, si allea agli ammutinati e la decisione unanime è terribile: Henry, il figlio John e un paio di altri membri continueranno l’esplorazione da soli: alla deriva. Costretti a salire su una scialuppa, verranno abbandonati in balia del mare per un ultimo viaggio senza ritorno. Di loro non si saprà più nulla. I compagni al ritorno in patria verranno accusati di assassinio e processati, ma poi tutti prosciolti.

La scia di Henry William Hudson non svanirà mai più: il suo esempio e i suoi tentativi disperati serviranno alle generazioni future per continuare a cercare passaggi verso altri dove.

Alì grida che siamo arrivati a Philadelphia, e la gente comincia a recuperare i bagagli e le giacche, io più morta che viva riemergo, provo a alzarmi ma le gambe mi pesano una tonnellata ciascuna.

 

 

Comments 2
  1. Buon natale viaggiatrice ti avevo perso ma non ti ho mai dimenticata…ti ho lasciata nella tua livorno ma ti pensavo chissa dove…un pó come il personaggio nel racconto…un forte Abbraccio..

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Prev
Leaving New York (never easy)
Next
Storia di un’amicizia che era destinata a finire (come tutte le amicizie che si rispettino, d’altronde)

Storia di un’amicizia che era destinata a finire (come tutte le amicizie che si rispettino, d’altronde)