Peccato che nessuno sa dov’è questo posto che continuo a pronunciare come quello dello stato di New York.
Baffalo, Baffalo… where is it? που είναι?
Passo un paio di file Covid, gente accodata con mascherina, non capisco a fare cosa, poi vedo l’omino delle Tourist info, volto scoperto, una faza una raza e mi ci fiondo.
Paracalò, paracalò, mi sorride ma nemmeno lui lo conosce.
Non sa di questa specie di Macondo – così se lo figura la mia debilitata fantasia, un borgo di pescatori sfuggito al progresso e alle grinfie del Covid, con in più l’aggiunta del mare (e del Wi-Fi).
Spyros mi ha suggerito di prendere l’Evia Shuttle che fa tre collegamenti al giorno, uno la mattina, uno il pomeriggio e uno alla sera, peccato mi abbia informata mezz’ora fa ma i biglietti andavano prenotati – solo online – almeno 24 ore prima. Sono indecisa se noleggiare un’auto, che è quanto consiglia l’omino del Tourist office, ma il pomeriggio è quasi passato, il tizio non sa darmi orari e dettagli precisi su come sbarcare all’altra sponda (da Atene devo raggiungere il pallino rosso) e il 23 del mese è ancora lontano. Perdippiù, io coi tassisti ci ho un genio particolare, potrei scriverci un blog a parte, ma per non tediare i miei innumerevoli follower, mi limiterò a ri-condividere la corsa Uber alla Union Station di Washington, quando in piena crisi influenzale Sars-Covid-19 nel dicembre 2019 (io anticipo sempre i tempi), davo il suo da undici a un tassista vietnamita, che aveva rinnegato le proprie origini per un’auto di proprietà, un pugno di dollari e tonnellate di cibo malsano.
Il mio Virgilio ellenico che sta guidando e smanettando con maestria si chiama Alexandros, avrà una quarantina di anni suppergiù, più su che giù, e si deve essere fatto una mega canna dopo l’ultima corsa perché il taxi è saturo di odore di cannabis. Con l’inglese se la cava maluccio, dice sciorri, sciurri, boh, pare greco, per fortuna ci ha un asso nella manica, cioè, nello smartphone.
Ora questa non la dovrei troppo dire in quanto language teacher, ma non posso non fare un elogio a Google Translate e alla signora qua sotto che mi ha fatto conoscere questa app formidabile a Gerusalemme quando dopo una distorsione dolorosa a un ginocchio, nello scendere dal letto a castello dell’ostello, mi ha vista zoppicante e mi ha praticamente rimesso in sesto con delle mosse particolari per “svuotare i miei meridiani intasati”, parole sue. Con la complicità di google translate.
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Ma torniamo alla mia maratona. E già perché guardate un po’ cosa stiamo percorrendo: io che impugno la Samantha di google map, Alex con la Jessika di google translate. Fatte le reciproche presentazioni, via che si va, fra un trillo, un sorso di Coca e una notifica, segnalazioni e annunci, imbocca di qua e svolta di là, dopo una ventina di km lui ci possiamo rilassare ed ecco che come se niente fosse discettiamo di storia antica, di famiglia, Covid, e economia, mentre stiamo sfrecciando niente popo’ di meno che lungo Marathon Avenue, ragazzi, proprio quello percorso dall’emerodromo Filippide.
Parliamo del ruolo della donna (donna, donna, sì, si capisce che la sua idea di donna è in linea con quella dei Greci antichi (e francamente un po’ anche la mia). La donna deve allevare i figli, dice, per questo lui guiderà incessantemente da /per aeroporto tutta l’estate mentre moglie e prole saranno al mare.
Da parte mia gli dico che sua moglie è fortunata, e lui annuisce, mentre la Samantha ribatte convinta che il posto della donna è accanto al focolare domestico. Zan, zan!
Ci accordiamo per 50 euro. e un po’ di English training di cui ha molto bisogno, dice, e dato che la Jessika manda a dire che mancano 33 minuti al prossimo imbarco, prego Samantha di chiedere al suo padrone di dare di gas sennò perdo il ferry.
(continua..)