Invertebrati marini

 

Come volevasi dimostrare l’approdo all’isola è tragico: quasi svengo davanti alla gentile signora dell’agenzia per mancanza di: sonno, zuccheri, soldi e sentimento. Lei insiste di avermelo detto che l’appartamento che guardava il mare costava di più; ma io non ho le forze per dimostrare il contrario, tento soltanto di riportarle quanto dice la De Sio riguardo al mare, che se ce l’hai davanti la mattina sei già a metà dell’opera, lasciando invece da parte le grigliate miste del narcisista cinquantaseienne (hai visto mai sulla sua graticola c’è finita pure lei !). Il che è un bene, ché a quel punto, miracolo dei miracoli, l’appartamento c’è e me lo dà senza rincaro alcuno, devo averle fatto pena, lasciamo stare, fa, e mi concede la mia striscia di azzurro a coronamento del sogno di isolitudine.

Mi incammino su per la salitina verso il paese, mentre dietro di me le ultime nuvolazze si disfano del tutto e il cielo resta blu della tinta più intensa. Ferragosto su un’ i-s-o-l-a : cosa vuoi di più dalla vita?
Una tua alunna di 1a, che altro?
Svolto l’angolo e,  “Miss S-o-n-i-a ! Miss Sonia !”

Poi dicono che mi monto la testa…

L’aggettivo non si riferisce al mio stato d’animo di quei giorni ma al nome di una delle mie più brillanti alunne di 1a elementare di Carrara, cui devo il mio solo splendido souvenir dell’isola di Capraia.

Ma Nettuno indispettito mi respinge e la spiaggia che molti davano come la più gettonata e attraente si rivela una cacata.
Ciottoloni scuri, limacciosi e poco affidabili, una barca passa ogni 5 minuti smuovendo e arruffando l’acqua, che per essere invitante è invitante, però insidiosa.
Come molte circostanze e situazioni della vita che uno ci si butta armato delle migliori intenzioni e poi paff! Scivoli nella melma dei non-detti, dei non-chiariti, dei non-chiaramente-espressi. Faccio un ultimo tentativo che finisce male e mi fa riassaporare un sogno brutto della sera precedente che no, non c è verso di ricordare, e forse è molto meglio cosi.
Mi rivesto e risalgo, sono stanca affaticata e ancora un pelino nauseata della traversata di stamane e del poco sonno di ieri notte.
Mi sento misera.
Mi accascio un attimo all’ombra di un fico lungo il sentiero che mi riporta in paese, qualcuno parla al telefono con accento milanese, una donna, che conclude la telefonata con un bacione!…. e (non contenta) … un abbraccione! Io sento il crollo in arrivo, ma non mollo e faccio un altro tentativo sotto la torre, l’acqua è splendida ma giungono inviti poco confortanti a buttarmi (“Provaci… provaci…!”, sibilano ondeggiando decine di meduse), per cui rinuncio, risalgo, e affranta e accaldata cado a sedere su una giostrina in un mini parco-giochi e mi metto a frignare. Piuttosto amaramente.
Detesto la mia incapacità di stare al mondo, di legare con gli altri, di stare serena, di trovare il mio altro ideale; di non rabbrividire se e quando il mio prossimo si congeda da me al telefono con un bacione o un abbraccione; per non parlare di tutta la fatica che duro sempre per il migliore approdo e discesa in mare, con la fissa dell’acqua chiara e trasparente che si deve vedere tutto senza bisogno di ulteriori spiegazioni o aggiustature. Poi finisco sempre con queste sottospecie di invertebrati marini che al telefono si congedano da te con un ciao ripetuto quattro volte: cia’-cia’-cia’-ciao! Quattro volte, capite? vattro!

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