Breakfast a Fort Apache

La mia felicità assoluta la mattina era una semplice addizione: caffellatte + sigaretta. Poi mi sedevo al pc e scrivevo. Prima mi riempivo, poi mi svuotavo. Un diritto che considero inalienabile.

11 luglio 2006

Ci ho provato con una Bialetti clonata, che schiumava anche il latte per il cappuccino oltre a essere dotata di varie diavolerie che però non mi e’ riuscito di sperimentare perche’ e’ esplosa prima, allagando la cucina le cui enormi fauci dei fuochi si sono trangugiate il mio caffe’. E in mancanza di uno dei due preziosi addendi, visto che la felicità cominciava a vacillare, mi sono precipitata alla sua pursuit. Con tutta l’eccitazione e l’ansia di un pioniere che vuole conquistarla il più in fretta possibile.
Uscita dalla cancellata la forma interrogativa di proposta è stata: da che parte prendo?
Una cartina? Porque? E come il buon Rivera, decido di andare a naso.

A Carrara, per orientarti, puoi affidarti ai sensi. Non servono cartine né indicazioni topografiche. Se poi vivi in piazzetta, puoi fare benissimo a meno del caledanrio e dell’orologio. Ci pensa il camioncino dell’AMIA a dirti che ore sono, o il macellaio sottostante, a colpi di mannaia, thun-thun-thun… SVEGLIA! SVEGLIA! E’ VENERDI. Se non senti sdiocanare signfica che è mercoledì o lunedì pomeriggio, oppure domenica, e lui e il collega fruttivendolo sono chiusi.

Per certi aspetti Carrara è molto comoda. Specie per orientarsi, per decidere da che parte andare. Non ti serve alcuna cartina né navigatore o altra diavoleria tecnologicamente avanzata. Intendiamoci, qualche rimbambito che usa il GPS c’è anche qua. Per percorrere i sette chilometri e mezzo del Viale XX Settembre e dei suoi smilzi emissari. Pur essendo accomunati dallo stesso appellativo di “viale” il Charleston è molto più longevo e ampio e del suo collega apuano, e di chilometri ne vanta una cinquantina in più e una portata maggiore di corsie per senso di marcia. Quando il Gringo mi ha mandato la prima cartina sono corsa a misurarla con quella di Carrara.

Las Vegas però non ha le piazze, ha i “larghi” che non sono stretti come a Carrara. Il cui centro storico è grande suppergiù quanto l’arcipelago di Camden, un tantino meno, ma molto più olezzoso. Si tiene l’olfatto in allenamento. Scesi in piazzetta delle erbe, basta seguire l’odore del pane e si arriva in Piazza del Duomo, da dove, l’odore di fogna ti porta in via Finelli, quello del taglierino nei fagioli giù per via Ghibellina, quindi proseguendo in discesa sfoci in piazza Alberica. Se per quelche motivo il forno del Duomo è chiuso, si switcha di senso affidandosi al volume della tv del mio dirimpettaio, il Bettini Silvio, incapace di intendere – perché sordo – e di volere – visto che dopo tre querele continua a non tenere i vetri chiusi. Dice che ha caldo. E l’Amplifon non se lo mette perché non ha i soldi per comprarci le pile. Non ti resta che augurargli una lunga vita e tirar dritto, lasciarti la piazzetta alle spalle, seguire il profumo della pizza, svoltare a sinistra e andare a fare felice almeno la panza: sempre dritto, una trentina di metri e si arriva da Tognozzi, dove sai quando entri, ma non sai se uscirai fuori vivo.
Come nella nota canzone degli Eagles.
Uno dei tanti approfondimenti culturali di questo programma.

[Da Lezioni di Far West di S. Pendola, Ed. Clandestine, a breve in uscita versione e-book]

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