I want you back!

(Il titolo del post di oggi è una “amichevole” variante dell’iconico invito di Uncle Sam (I want you!) con cui era stata decorata la parete di un popolarissimo pub nel centro di Hanoi).

Anni fa, a Carrara, a un convegno sulla scuola che mi pareva una cosa interessante (mentre poi si è rivelato una cacata), un’amica, a cui in modo un pelo tracotante avevo confidato della mia separazione, mi fa:
Sì ma… sei  r i s o l t a ?
Mm…
Io che viaggio in solitaria non è da ieri, solo che fino a qualche anno fa, a ogni tappa mi connettevo con i fantasmi del mio passato. Log-in … nome utente, pw… non riesci a entrare? Perché non sei risolta.
Ti devi registrare.
Devi dare le tue credenziali di donna libera e autonoma.

Uno dei miei aspetti peggiori, che mi causa non pochi fastidi, è che non mi capacito che si possa smettere di amarmi. Ma come vi salta in mente?
I segnali ci sono sempre. Ma io non li leggo mai.
Trovo, per il disertore o disertora di turno, ogni possibile scusa o motivo: avrà da fare, ho capito male, ho sbagliato qualcosa …. e invece no. Semplicemente la gente smette di amare (però non te lo dice). Quindi cosa faccio? Insisto. Ridisegno una mental map tutta mia: per le recrudescenze svoltare a sinistra, fare una bella inversione a U e riprendere il cammino a ritroso. Ora torna pure sui tuoi passi, e dopo aver concluso una storia che non ti portava da nessuna parte, al prossimo bivio, prendi a sinistra, go West! e re-imbocca la via del mare … esatto, quella naufragata una decina di volte e conclusasi da anni CINQUE! Ora attraversa pure l’Oceano Atlantico, e … fuochino, fuochino… ci sei quasi… Hey, mi senti? May Day! May Day!

Poi a un bel momento ho pensato, cambio rotta. Viro a Est. E eccomi in Vietnam. Correva l’anno 2015…
( Lo so che pensate cosa c’entra il VN con l’India, ma un attimo e ci arrivo).
In VN ci sono andata per lavoro in cambio della possibilità di partire con pochi soldi cuciti nelle tasche dei jeans. E di risolvermi. La foto qua sotto me la sono scattata da me su una motonave vintage, con le finiture in legno di noce laccato, letti d’epoca, personale gentilissimo, passeggeri accoppiati e felici, selfie di qua e brindisi di là. E Io allo specchio, specchio delle mie brame…

Il cappello da paparazzo Viet Cong regalato un tassista.

Sto navigando dentro la baia di Halong, Golfo del Tonchino (non so se avete presente, viceversa cliccate sul link 👆): regalino del mio ex-husband, Okay, però poi non pretendere ANCHE che ti ami.
Tanto valeva guadagnarci almeno una crociera.
Ora immaginatevi la baia al tramonto, ovvio che c’era la luna, e le coppiette e le famigliole, i brindisi, le risate.
(Io in cucina col cuoco che mi spiega a gesti come farcire gli involtini freschi e la salsa all’aglio.).



Il Vietnam è un paese tragico (capito ora perché ho divagato? No tragic, no magic) tragico ma vivo, pullula di vita, la gente non sta mai ferma, non si capisce quando e se dorme, sempre indaffarati a fabbricare qualcosa, a cucinare, a apparecchiare e sparecchiare, a spennare e a squartare ogni genere di esseri (un tempo) viventi.
E’ un paese giovane il Vietnam, vibrante, curioso, affamato, intraprendente, in crescita costante, con un passato ormai sepolto e digerito.
(Lui.).


Il 4 agosto del 1964, proprio nelle acque della baia dove sto rollando gli involtini, si celebrò la Risoluzione del Tonchino, classico esempio di casus belli, l’evento per il quale uno stato si trova nella necessità di difendersi da un attacco ricevuto dichiarando guerra a un altro. In questi giorni il termine “risoluzione” ricorre molto. Le risoluzioni servono a dichiarare guerra. Ma sono anche comode all’aggresspre di turno, che può far finta di aver subito l’aggressione. La guerra in Vietnam iniziò con una tragica menzogna. Era l’occasione che il presidente Johnson desiderava per scuotere l’orgoglioso spirito nazionalista americano.

We struggle for freedom!

Per mettere a segno un altro colpo a favore della struggle for freedom tanto cara al suo popolo. L’enorme menzogna della Gulf of Tonkin Resolution, rivelata solo sette anni dopo, quando oramai non serviva più a niente, aveva finalmente autorizzato il Presidente a “prendere tutte le misure necessarie per respingere gli attacchi e prevenire future aggressioni”.

Dopo aver finito di rollare l’ultimo involtino me ne andai nella mia triste ma comoda camera vintage a bordo della Serenity and Luxury Cruise che silenziosa ci cullava tutti quanti scivolando su quelle stesse acque dove 50 anni prima il vero aggressore, il vero distruttore, il vero assassino aveva trovato il pretesto per poter distruggere, assassinare, e aggredire senza perderci la propria faccia d’angelo, la propria bontà d’animo, caro dolce ex-husband che continui a mandare auguri di Pasqua, Natale e feste della mamma, perché non ti alzi finalmente in piedi, fai crescere qualche centimetro di palle, ti ficchi in culo tutti i tuoi falsi tentativi di spargere pace e serenità, e confessi chi sei e cosa veramente provi?
Sai cosa ci guadagneresti? Quintalate di umana cattiveria, che ascolta cosa ti dico: è umana, va bene così, questa è la vita. Vera.

Clic sulla singola foto per ingrandire.

E’ stato in quella baia che ho cominciato a capire, ad avviare la mia personale risoluzione, che proprio in questi giorni si è conclusa. Anche se non so chi di noi due abbia vinto la sua struggle for freedom.

Per una lettura integrale delle info storiche di quanto sopra, click su: Pubblicazione Centro Studi per la Pace
Chi vuole approfondire (e avere una chiave di lettura aggiornata del presente):
“La guerra in Vietnam tra verità e menzogne ” di Giovanni Bernardi, 19
settembre 2000

In copertina foto di Paul Brennan, tutte le altre sono mie.

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