Iran, April 2014
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“Chador” in arabo significa tenda. Non tutte le ragazze sono tenute a nascondercisi dentro, dipende dal permissivismo della famiglie. Per molte di loro indossare la tenda o lo hijab (il foulard) non comporta sacrificio, è ritenuto un segno di rispetto verso la loro religione. Diverso il caso della “tenda”che separa le spiagge per uomini da quelle per le donne: si nuota separati, anche per le coppie e i parenti.
Abbiamo fatto conoscenza con un pullman di studentesse universitarie di architettura che ci hanno dato un passaggio evitandoci di attendere ore e ore un bus che non eravamo certi sarebbe arrivato. Saliti a bordo le ragazze hanno cominciato a offrire dolcetti e gelati, bibite, risatine , gridolini, hello hello, where you from? Quindi hanno cominciato a tempestarci di domande, a chiedere se le ragazze in Italia fumano erba, cosa pensiamo della gente in Iran (vero e proprio pensiero fisso), notizie del Papa, della religione cattolica, dei trucchi e dei mariti. Ci hanno confessato di non sopportare né velo né chador, specie col caldo, e vorrebbero visitare l’Italia ma occorre avere molti soldi in banca per poter ottenere il visto.
Munir è di quelle che il chador non lo porta ma non rinuncerebbe mai allo hijab. Per rispetto alla sua religione. Mi chiede se in Italia alle donne musulmane è concesso di portarlo. Le dico di sì, a Carrara almeno. Le chiedo perché ama tanto la sua religione. Mi risponde perché è “onesta e pura”.
L’ho conosciuta in un hotel a 4 stelle, lo Hafez di Shiraz, di quelli che noi nemmeno avvicinarsi. Ci ero andata per il WIFI. Entrandoci mi son sentita come ritornata ai vecchi tempi di Las Vegas, anche se il paragone non si può nemmeno tentare. Parliamoci chiaro: in fatto di sciccherie e confort gli americani non si battono. Specie quelli in mezzo al deserto del Mohave. Munir, suocera e marito hanno preso in gestione dal governo il piano del coffee net (l’Internet cafè) , lei dà le password, il marito assiste chi ha problemi, la suocera serve il tè. Mi ci sono rivolta per chiedere di un beauty salon, volevo provare la ceretta Pandhy’s, come nel film Caramel, quella allo zucchero. Mi dice che può farmela lei, a casa sua, ci accordiamo sul prezzo e via che si parte. Massacro a parte, è stata una bella esperienza, nella ceretta c’era di tutto meno che zucchero, l’ha scaldata a bagnomaria, poi dalla cucina correva in sala dove io l’aspettavo distesa per terra su un bel tappeto che suppongo persiano. Per “allietarmi” la tortura ha acceso la TV e ha messo su un canale iraniano dove un pittore insegnava in diretta a dipingere montagne spruzzate di neve e abeti bicromatici. Ha usato un coltello e delle pezze di lino strappate sul momento. Fra uno strappo e l’altro offriva cioccolatini, racconti e confidenze, sciroppo di ciliegia fatto in casa, anguria… E la sua doccia, la sua crema emolliente, la sua camera da letto. La sua amicizia.
Alle donne iraniane è vietato fumare in pubblico e nelle fumerie, salvo le anziane con la caratteristica pipa.
La prossima volta dovrai andare fra gli Eskimos per trovarti in mezzo a qualcosa piu’ fuori dall’ordinario di questo.
cacchio sonia qua festeggiamo i primo maggio e loro nemmeno possono fumare , mentre ti scrivo ho una sigaretta in bocca, pero bo la felicita forse puo stare ovunque… nn e detto…
baci e w la liberta, buon viaggio!!!
leggerti è come chiaccherare con te davanti ad un caffè a casa tua.