La vita cruda

Oggi vi scrivo dalla sala d’aspetto di una sorta di ASL, un dipartimento sanitario dell’ospedale militare di via Sonamadonna. Lungo la strada, dopo essere scampate al terzo frontale (lei non si è scomposta di una virgola, io ho ancora il crampo al piede destro), Trang mi ha spiegato che ci sono molti ospedali militari ad Hanoi, che durante la guerra erano utilizzati per i feriti, in seguito riservati ai reduci e ai parenti, quindi da una decina di anni a questa parte li hanno aperti anche ai civili. Essendo finanziati dal Ministero della Difesa, hanno più mezzi e standard superiori. L’alternativa, per chi può, sono quelli privati, per il resto della banda non oso immaginare.
Son qua che aspetto in mezzo a altra gente dallo sguardo un po’ perso, come sempre in luoghi del genere che fai finta di niente e intanto fai gli scongiuri. Non mi sembrava il caso di scattare foto.
Trang è andata a parcheggiare
Le piace usare questa espressione, dev’essere che la sente nei film americani, perché di fatto la macchina la molla in posti inverosimili, quelli si mettono a strombazzare, ma dato che a Hanoi il clacson si usa a) al posto della freccia destra/sinistra; b) per prendersi (del tutto arbitrariamente) la precedenza agli incroci, i quali hanno subito una mutazione genetica e si sono trasformati in rotatorie (o viceversa); c) per tagliare la strada; d) per la sosta e la fermata (in terza fila); e) per scorciare passando sul marciapiede, ovvero per notificare il proprio arrivo ai pedoni che escono da negozi e supermercati (e i quali si scansano come se niente fosse, come se tutto ciò fosse normale; f) per mandare a cagare un raro qualcuno che si azzarda a rispettare le norme stradali – pensate che esagero? – e la lista potrebbe continuare, ma tanto per dirvi che suonano tutti.
Ergo, è come se non suonasse nessuno.
Il clacson serve solo a notificare la propria presenza, per dire al mondo: Oy, esisto anch’io! A chi verrebbe il coraggio di negare un tanto elementare diritto umano? Di certo non ai vigili, più interessati a esigere pagamenti extra per motivi del tutto irrilevanti.
E dicevo, siam qui che aspettiamo il mio turno, metà al chiuso e metà all’aperto, io saluto chi arriva in vietnamita, aggiungendo – è più forte di me – l’inchino con la testa a mani giunte. Che non ci azzecca proprio, ma io l’ho imparato a Monti San Lorenzo, è un riflesso incondizionato, col fatto che qui son tutti buddhisti, capite? Che è un po’ come se Trang venisse in Italia e salutasse tutti col segno della croce. Tant’è. Malgrado lo sguardo neutro e vagamente disorientato della gente, non riesco a smettere.
Siamo risaliti a 32 ° barra 37 ° C, di nuovo a mollo a bagno maria con il 70 percento di umidità. Il mio intestino, dopo una lieve ripresa, ha ridato forfè. E siamo venuti per una veloce consultazione. No examination! grido a Trang che è andata a pagarmi il ticket (100.000 dong, 4 euro): Only consultation!
E’ solo un problema psicologico, sono sicura, perché al di là del continuo consumo di riso – sempre lo stesso, almeno in casa Ta Tung e Trang- il cibo non è male. Il fatto è che un po’ troppo spesso si tratta di estremità: zampe, artigli, code, teste, cotenne…Voglio dire, la parte principale, dove si concentra la sostanza, non c’è quasi mai. Quindi buona parte di ciò che mangio è verdura e frutta. Voglio solo sentire ‘sto dottore che conosce sua madre che ha studiato con la cugina che ha fatto l’asilo con il fratello, e chiedergli dove le vendono le supposte in questo benedetto paese. Io sto bene. Son solo stres-sa-ta. Colpa delle estremità bollite, capeesh? E del poppante, e del karaoke, e degli ascensori, e degli Unni, e del giaciglio…
Perché non vi ho poi detto che il viaggio in taxi mi è sì valso due amici, una cena, un fracasso di risate con le farmaciste del quartiere Chou En-lai, ma il target non è stato raggiunto. E ora i casi sono due: o i vietnamiti hanno un impeccabile tratto finale dell’apparato digerente, o le supposte non le hanno ancora inventate. Perché non sembrano esistere.
La Trang mi ha procurato un rimedio alternativo al minimart del piano primo, che lasciamo perdere; quindi messa alle corde, è riuscita a trovarmi un buco nel suo impegnatissimo timetable, che oggi oltretutto prevedeva l’accompagnamento della Twa a trovare il suocero, anni 82, che si è rotto il femore ed è ricoverato in un altro ospedale dalle parti di Hamburger Hill. Occhei, occhei, freniamo. Ma non è del tutto colpa mia. Ora vi descrivo sopra la mia testa cosa c’è.

Su una parete è affisso un grosso tabellone con scritte in vietnamita e delle specie di statistiche; come a dire: nel 2010 abbiamo effettuato tot appendici, tot amputazioni, tot ricostruzioni… I dati sono accompagnati da foto. Reali. A colori. In scala naturale. Piedi tranciati e aperti in due per la larghezza, arti prima e dopo la ricucitura; fette di teste mancanti, fuoriuscite di trippe …
Mi comincio a preoccupare.
Si tratta di problemi psicologici, ne sono sicura. I due bagni di casa, ad esempio, han più l’aspetto di una cabina di stabilimento balneare marinello, con roba mollata sul pavimento, e la classica fontanella – doccia attaccata al cesso. Che viene usata direttamente sul pavimento. Il quale è sempre allagato. Gli stracci non esistono. L’acqua, rassegnata, evapora da sé. Ora, ci sono due paia di ciabatte da “bagno” a disposizione, vero, in ciascuno dei due, ma io che vi giuro (e si sarà ormai bell’e capito) son tutto tranne che schizzinosa, se c’una cosa che mi fa schifo è il contatto delle piante dei piedi con l’umidiccio – specie se di altri!
Solo che spiegare alla Twa e alla Trang cosa sono i funghi (in inglese si dice fungi), è molto faticoso. Meno male che prima di partire la mia estetista mi ha dato uno smalto trasparente di sicura marca cinese, perché atterrata ad Hà Nòi ha cominciato a ri-liquefarsi, e fra leva-le-scarpe-e-metti-le-scarpe-cavale-rimettile-rimettile-e-ricavale, polvere di qua e di tutto un po’ di là, ho le unghie ben protette da una spessa pellicola grigiastra che non posso levare perché l’acetone in casa non c’è e io sarei stanchina di mimare e disegnare sostanze che escono o entrano in contatto col corpo umano. Vado che e’ arrivato il mio turno…

Comments 3
  1. Ci vuole un acutissimo senso di avventura e antischizzinosaggine a sopportare queste tue avventure, e, a dirti il vero, “Travel with me (you)?” NO WAY!

    1. Well… as long as you read me!

      I would never venture with Dante on his “divine” travels, but I love his masterpiece!

      🙂

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