Lezioni di fiducia

Co-ten-nhah!
Sto cercando di insegnare alla Twa la pronuncia di quei tocchi di roba, che praticamente un giorno sì e uno quasi, tira fuori dal freezer, scongela, tagliuzza, poi frigge in casseruola, e impacciuga con zucchero, melassa e salamadonna.
E canticchia.
Ha una voce molto melodiosa, come quelle femminili nelle colonne sonore dei film cinesi pesi come il piombo non so se li avete presenti. Soundtrack sempre uguale, cinque note dall’inizio alla fine. Se poi sono in bianco e nero è il massimo.
Io nera che più nera non si può, non so se si percepisce: i file dall’ HD li abbiamo recuperati solo parzialmente, e non me ne posso comprare un altro per salvarceli dentro a meno di non rinunciare ad andare qui…

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Baia di Halong, Golfo del Tonchino.

   e qui …

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Sapa, nord Vietnam, provincia di Lao Cai.

…e qui …

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Tam Coc, Provincia di Ninh Binh.

 

… e ovviamente non se ne parla nemmeno.

Non che queste splendide destinations costino quanto un HD, ma ormai mi sono abituata a pensare in dong, cioè da povera. Per un HD occorrono una settantina di $. Su Amazon. Poi però bisogna risborsarne ancora una ventina perché se ho capito bene il corriere (della Manciuria) in questo angolo dimenticato da cristo non ci viene e bisogna farselo ricapitare non so dove e andarselo a recuperare non so come. Ecco, la logistica è un campo dove c’è ancora un tantino da lavorare.
Comprarsi un paio di chiavette? Già fatto. Made in Taroc. Non credo che sopravviveranno al metal detector.

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Signora che aspetta che le si secchi il riso.

Speriamo che sopravvivo io.
Siamo precipitati dai 35°C a bagnomaria ai 20° C secchi in quarantott’ore: lì per lì non mi sembrava vero perché potevo finalmente dare un senso alla pesantezza degli indumenti che mi sono portata, finora del tutto inutili.
Influenza, raffreddore, mal di gola, afte, e herpes in arrivo, e mi sa anche la febbre. E mi sono ritornati indietro a mo’ di boomerang i dieci anni che avevo perso. Tunk! secchi sul viso. In realtà mi sono ammalata per tutt’altri motivi: farmi esonerare dal ninnare baby Dau, e dal cantare col padre. Tung quando è a casa imbraccia la chitarra e attacca a “smostrare” (verbo con cui a Carrara si massacrano cose, persone, fiumi, montagne…) tutte le più belle e note canzoni del panorama occidentale, senza ritegno alcuno: fa fuori i Queen, i Nirvana, Dylan, Neil Young, i Door con una smanicatura quasi invidiabile. Tears in Heaven di Eric Clapton è il suo cavallo di battaglia, quella dedicata al figlioletto precipitato dal grattacielo, non so se l’avete presente. Ecco, tenuto conto che viviamo al trentesimo piano… Pretende oltretutto che suonando, baby Dau smetta di piangere, mentre lui ci dà dentro ancor di più, ma nessuno capisce quello che tenta di dire. Su fb ha postato un video che lo ritrae per le strade di Bangkok a straziare Elvis senza pietà.

Ma torniamo alla Twa che continua a far ondeggiare le sillabe come le lanterne rosse di un vicoletto qua vicino, che non c’è verso riesca farci una foto decente: mi vengono fuori uno schifo.
(Come a lei la lonza di maiale, sia cotta che pronunciata.).
K’t- tin -nhàn…
No-oh.
Le spiego che il mio intestino del maiale decongelato e reimpacciugato non ne vuole più sapere, gli erbi sì, quelli li mangio. E il tofu saltato, ok. Rimpiangerò come lo fa lei. Anche se non eguaglia quello che servono alla bettoletta giù in strada dove vado per l’happy hour : Bia Hoi e due involtini, che qua non li chiamano primavera, ma sono divini. Giorni fa con Trang ci abbiamo mangiato una zuppa di code di non so cosa, loro dicono di anguille, a me mi sembravano i tentacolini dei calamari, però non mi sembrava il caso di spignolare, e dunque Inshallah!

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Buddha che ride (e che secondo me mi protegge anche un po’).

A mio avviso, per quelli che non riescono a fidarsi quasi neanche di se stessi il viaggio è un ottimo allenamento. L’anno scorso a Shiraz, ad esempio, ho conosciuto Munir, una ragazza di una trentina d’anni. Aperta e simpatica. Lei il chador non lo portava ma mai avrebbe rinunciato allo hijab (il foulard che copre il volto, di contro alla tenda nera. Non è una spiritosaggine mia, vuol proprio dir tenda in pharsi.). Munir era curiosa di sapere se in Italia alle donne musulmane è concesso di portarlo. Le ho detto di sì. A Carrara almeno. Le ho domandato perché ama tanto la sua religione. Mi ha risposto “perché è onesta e pura”.

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Io che mi domando… (I winder. I wonder why, I wonder how…)

E comunque, l’avevo conosciuta in un hotel a quattro stelle, lo Hafez di Shiraz, di quelli che io e i miei due compagni di viaggio, manco avvicinarsi. Il nostro budget era una media di dieci dollari al dì, che includevano pasti, alloggio e qualche extra.
Ci ero andata per il WIFI. Entrandoci ero come tornata ai bei vecchi tempi di Las Vegas (di quando pensavo in dollari), anche se il paragone non si può nemmeno tentare. Parliamoci chiaro: in fatto di sciccherie e confort gli americani non si battono. Naa. Specie quelli in mezzo al deserto del Mohave.
Munir, suocera e marito avevano preso in gestione dal governo il piano del coffee net (l’Internet cafè), lei dava le password, il marito assisteva chi aveva problemi (tipo c’era un’italiana mi pare di Carrara, che veniva fuori sempre con qualche richiesta strana…), la suocera serviva il tè. Mi ci ero rivolta per chiedere di un beauty salon, volevo provare la ceretta Pandhy’s, come nel film Caramel, quella allo zucchero. Mi dice, aspetta che vado a sentire, poi torna, occhei si può fare. E mi porta a conoscere la nuora.
La question successiva è stata, Dove? Albergo da me?! Io titubo un po’, perché nel nostro già ci giravano tipi strani, ci avevano informati che se scoprivano che prendevi la stanza per uno e poi ci aggiungevi un compagno o compagna, passavi dei guai, e non mi pareva il caso, vista la latitudine in oggetto. Quindi, noway! le dico, non si fa. E lei allora si consulta un po’ con la suocera, un po’ col marito, torna e propone casa sua.
Casa tua?
Casa mia!
Occhei, mi casa, su casa, ci accordiamo sul prezzo (mezz’ora di lanci e rilanci e ribassi) e via che si parte.
Inshallah!
Perché essere lanciati in taxi lungo dei vialoni della periferia iraniana dove a ogni chilometro appariva dall’alto la faccia di qualche ayatollah incazzato e tristo, che chissà quali accidenti ti augurava a te, O frivola femmina europea che ti fai la ceretta alla vigilia del rimpatrio, perché mai non puoi aspettare il ritorno in Italia, eh? Cosa – ovvero CHI? – hai di tanto urgente e irrevocabile che ti attende all’aeroporto di Milano Malpensa, eh? Rispondi scostumata!
La lingua straniera in momenti come questo si trasforma nella lingua nemica dei barbaroi. Ovunque. A qualunque latitudine. I due sembravano parlottare e ordire chissà quale piano, non arrivavamo mai, non riconoscevo niente né nessuno, il minimo che ti aspetti è che ti derubino, sgozzino, soffochino, e poi ti lancino giù per una scarpata… Il taxi, cioè i taxi, perché ne abbiamo cambiati tre (per tre complici in tutto!) per coprire diciassette chilometri, l’ho visto sulla cartina, per arrivare a questo enorme caseggiato stile Zen di Palermo (o P.E.P. di Avenza se preferite), con vari alberi di svariati piani, al dodicesimo di uno dei quali la mia amica Munir mi ha accolto in casa sua per spiumarmi.

Massacro a parte (la mia estetista ride ancora), è stata una esperienza emozionante. Nella ceretta c’era di tutto – e sottolineo di tutto! – tranne che lo zucchero. Munir l’ha scaldata a bagnomaria, poi dalla cucina correva in sala dove io l’aspettavo distesa per terra su un bel tappeto che si sarebbe supposto persiano. Ma la cosa più ilare era che per “allietarmi” la tortura, aveva acceso la TV e messo su un canale iraniano dove un pittore insegnava in diretta a dipingere montagne spruzzate di neve e abeti bicromatici. Voglio dire, l’ultima cosa a cui uno associa l’Iran sono le stazioni sciistiche, la neve, i paesaggi alpini… E intanto che io prendevo mentalmente appunti sulle diverse specie di pini silvestri e loro rispettive infinite varietà di sfumature di verde, lei strappava coi denti un telone di lino per farne. prima scampoloni, poi quadrati e infine striscioline per rimuovere la cera. Fra uno strappo e l’altro offriva cioccolatini, racconti e confidenze anche piccanti sulla sua vita coniugale, (interessatissima alla mia, sulla quale le ho mimato di stendere un tappeto persiano pietoso), sciroppo di ciliegia fatto in casa, anguria… E la sua doccia, la sua crema emolliente, la sua camera da letto. La sua amicizia.

 

Comments 5
  1. Sinceramente. Una volta mi attiravano le situazioni scomode e difficili perché mi sembravano necessarie. Ora se posso le evito perché ho raggiunto la mia capacità di sopportazione. Il contenitore è pieno e non posso più sopportare le difficoltà soprattutto perché le devo affrontare da solo.
    Immagina che ci sono persone che hanno bisogno di compagnia per andare accena o a fare shopping e a bere un aperitivo alla frutta. Immagina di quanto seguito avrebbero bisogno se dovessero attraversare un pezzetto di deserto.
    È vero che non tutti siamo uguali e la cosa principale da osservare è che non sia detto chi è meglio se uno o gli altri.
    Per cui insomma non è così fondamentale mettersi alla prova ed esaurire la propria capacità di sopportazione. Forse dovremo affrontarle altre di prove scomode e tanto vale lasciare una quantità di riserva al l’inconveniente futuro.
    Non so Sonia se stai bene o male. Se sei felice o meno. Soddisfatta ed appagata. Anche se molte risposte poi le devi analizzare a mente fredda.
    Un bacio.

  2. Io credo davvero che la vita sia un viaggio e che chi viaggia viva due, tre, quattro volte… Naturalmente i modi per viaggiare sono tanti, e non serve mettersi in situazioni scomode o difficili, o percorrere migliaia di chilometri.
    Occorre però sempre mettersi in gioco. Solo così si può, io credo, accrescersi.
    Che è quanto ci permette di dare al mondo qualcosa di buono di noi.
    Questo paese, la sua durezza e ‘faticosità’, la sua infelicità, la sua voglia di farcela senza scavalcare troppo, le domande in sordina su noi occidentali, la grazia dei modi e spirito di accettazione e sopportazione, e tutta una serie di altri tesori mi ha permesso di aprire uno vero scrigno pieno di segreti anche su me stessa.
    E quando questo succede, io credo che sia cosa buona.
    Grazie del bel commento.
    A presto,
    Sonia

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