Mancanza

Ferragosto, ore 3:48.
Mi sveglio, lampi e tuoni, la stanza ancora buia, Livorno un’orchestra di grondaie amplificate che duettano con il fracasso di imposte che sbattono, e a cui fanno da controcanto i pensieri martellanti che ci sarà mare mosso, la Liburna non partirà (e se partirà chissà se arriverà), il narci- fidanzato bloccato a Capo Corso, il Provveditorato avrà perso il mio punteggio …
Nervosa io?
Dè…
Nelle televendite di Mamma Franca la cosa che mi rilassava era il modo placido in cui madre e figlio si interrompevano a vicenda, parlandosi addosso ma senza scomporre mai: lui la sua postura, lei il suo panettone sulla testa. E questo omaggio del cacciucchino che mi riportava agli orizzonti vasti e assolati del livornese senza montagne a ostacolare il tragitto della mente, solo mare: Calafuria, il Romito, l’opera viva e l’opera morta, mio padre che sfrecciava lungo la Collesalvetti, destinazione Villa S.G., i sorpassi azzardati, il mio sonno fiducioso sul sedile posteriore, poi la maturità, la presa di coscienza, la fine dell’innocenza. Mamma Franca dove sei? Finiti da un bel pezzo i miei vent’anni, spariti, polverizzati, ma non l’insonnia, quella a tratti torna. Mi alzo, chiudo le imposte, guardo il cellulare, mancano due ore al suono della sveglia, tre all’imbarco, AccuWeather.com dava sole su Livorno e Capraia, com’è che fuori si sta scatenando un finimondo e io sempre senza ombrello, Scusa, potresti mica …?
Ah, non credo…

[av_dropcap1]La mancanza[/av_dropcap1]

scopre la nostra vulnerabilità, acuisce i sensi, amplifica i bisogni, stimola l’attenzione nell’acquisire ed affinare gli strumenti che ci consentono di raggiungere un obbiettivo. Un traguardo. La mancanza ci distingue, sottolinea la nostra unicità. Hey kids, today I am taking you to Leghorn. Anzi, no: vi porto in Africa.

La commissione della prova orale del concorso per la scuola primaria era formata da cinque donne più un eunuco. Le donne, come spesso in queste circostanze, acidule e appassite. L’eunuco si limitava a richiamare le mie colleghe all’ordine e a trascrivere dati e informazioni con una faccia che si teneva su per miracolo. Io scodinzolante come sempre, fiducia smisurata verso chi mi ascolterà, e che punto a stupire: guardate, signore e signori, di cosa sono capace.

“La prova orale sarà finalizzata alla preparazione sulle discipline, nonché la relativa capacità di progettazione didattica efficace, anche con riferimento alle Tecnologia di Informazione e Comunicazione.”

La mia didattica si basa sul fare e sull’andare. Una lezione equivale a un viaggio, e a destinazione ce li vorrei portare tutti, i miei kids. Il problema è il mezzo, e come detto in precedenza, se viaggi con una utilitaria nuova e prestante arrivi dove vuoi; se ti tocca elemosinare passaggi in giro perché sei sempre in panne, scendere e salire da mezzi di locomozione altrui, il viaggio diventa un’odissea e il traguardo si sbriciola all’orizzonte. Coi passeggeri devi vedertela tu.
Chi ha sentito parlare di Nelson Mandela, kids? Uno splendido Morgan Freeman in un film che poco mi aveva convinta aveva offerto lo spunto per capire cosa viene a mancare se non c’è libertà. Hey kids, do you know?

Si impara per imitazione o differenziazione, ma anche la mancanza può essere un buon alleato.

E Nelson Rolihlahla Mandela ne sapeva qualcosa.
Il suo vero nome, Rolihlahla, significava attaccabrighe, he was a great leader and a troublemaker, kids, la sua maestra gli aveva detto, questo nome non va bene, dobbiamo aggiungerne un altro: ti chiamerai come un grande capitano, ti chiamerai Nelson.
Pronti ad atterrare a Londra, kids? Invertiamo la rotta!

Ciò che voleva essere una commemorazione in linea con indicazioni ministeriali, notifiche e richiami di ogni tipo, per i miei second graders si era trasformato in un vero e proprio EAS: un episodio di apprendimento situato. Ma che noi chiamiamo viaggi: voli. Come quando il comandante dice ai passeggeri (un po’ rumorosi e vagamente indisciplinati) … and now, sit back, relax and enjoy the flight.
Le cinque esaminatrici acidule e appassite non sembravano tanto rilassate (un conto è parlare di  l i b e r t à  a bambini di 7 anni, altro è dispiegarne le ali davanti a chi l’apprezza solo nei film in tivvù.
L’Ammiraglio Nelson era servito per ammirare una splendida piazza di Londra e per gasarsi di fronte alla forza di un nome più nutriente del latte materno e di mille ideologie, specie quando si combatte ad arm(i) impari. E Mandela questo lo sapeva, come il valoroso ammiraglio da cui aveva preso nome e coraggio, e che era riuscito a vincere con un braccio e un occhio soli.

 

How many arms, kids? How many eyes? Se qualcosa ti viene a mancare, il suo ricordo sarà più cocente e duraturo.

E se un ammiraglio con solo arm può escogitare una strategia vincente per combattere contro il nemico, di sicuro la sua storia sarà un mezzo didattico per imparare la lingua usandola e scoprendola, che è quanto di più utile e nobile con la lingua si possa fare.

Sì ma… ha chiesto una delle voci acidule, che cosa sta effettivamente alla base della didattica 2.0 ?

Il traguardo.
Che non basta.
Non basta far imboccare a tutti la via per il traguardo.
Insegnare oggi significa spiegare come manovrare il mezzo a disposizione, come decifrarne il complicato libretto delle istruzioni. Di modo che tutti riescano a leggere la mappa e arrivare alla meta.

Livorno, ore 7:40
Non ci sono messaggi del narci-fidanzato, la mia host dorme tranquilla, il cielo di Livorno si è schiarito, la mia meta senza accento mi aspetta.

Non importa quanto sia stretta la porta, quanto piena di castighi la vita. Io sono padrone del mio destino, io sono il capitano della mia anima*.

Ultimo balzo e sono fuori e mentre mi dico che il non-sonno fa male, il non-amore fa male, il non-tempo fa male, ringrazio Mandela e il suo mantra.
Viva gli attaccabrighe! Viva la libertà!

*Citaz. del poeta inglese Ernest Henley


 

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