E comunque ieri avevo da fare, dovevo finire i compiti. Ripassare il canto XXVI dell’Inferno dantesco. L’invito è giunto da Michael Levin, che qui saluto, mio nuovo teacher of meditation del Waltham Buddhist Meditation Group. Lui e la sua gentile signora Emily. Li ho scovati appena arrivata a Waltham di cui ancora non vi ho fatto fare il giro perché spesso sfreccio in bici e non riesco a scattar foto. Waltham, Mass. Boston è un pochetto più a ovest, con il numero di statale 117 se guardate sulla map. Ma in effetti fa parte di Greater Boston, come dire Fossola e Carrara. Però una English teacher in Waltham avrebbe comportato da parte di qualcuno un macello fonetico, Valtam, Uolton, What?? Where’s your teacher?
Dite Boston che si fa prima.
Il WBMC è in questa parrocchia, la First Parish In Waltham –sottotitolo: A Unitarian Universalist Welcoming Congregation –lo slogan: Wherever you are in your journey, you are welcome here (fra il titolo, lo slogan e il sottotitolo c’è materiale sufficiente per una lezione di inglese. Ma anche per aggiungere un tassello alla mia ricerca). Trattasi di una parish che si presta a qualunque contaminazione e interazione religiosa, nel senso che per tirare su soldi il parish priest la affitta ai vari credo. È, come si suol chiamare, una multi-proprietà.
Lo slogan comunque mantiene le promesse, e la prima session è andata molto bene. Niente a che vedere con il piccolo tempio sublime di Monti S. Lorenzo, qui la meditatio è a porte aperte, con gran ruggiti di Harley Davidson che arrivavano da fuori, io poi odio dare le spalle all’uscita, specie dopo … siamo a numero 3 sparatorie nella sola provincia. La chiesa della cittadina vicina ha messo in giardino un cartellone ANCHE LE VITE DEI NERI VALGONO, noi buddhist meditator tutti bianchi, e insomma il pensiero di una black response, dico la verità, un po’ sulle prime mi ha distratto e ho fatto fatica. La meditazione camminata era più una marcetta militare che una standing meditation, tutti in cerchio e guai a rompere le righe, tutti che mi sorpassavano e incitavano to move on, darsi una mossa, please. E mancava l’odore buono del bosco misto all’incenso che c’è al Monastero Musang Am (compensato però dal faggio del cortile esterno – e quando dico faggio intendo questa awesome beast qua sopra); niente piccolo Budda dentro la conchiglia col fumo colorato e il rumore del rigagnolino d’acqua che scorre alle spalle del Maestro Taehye sunim, e niente moktak ad annunciare la preghiera, né l’invito al thè del Maestro. Ma questo lo scrivo più che altro per esprimere gratitudine a lui e alla Comunità Bodhidharma, so bene che la piena consapevolezza di sé non si raggiunge se prima non si raggiunge il non attaccamento. Se poi anche me lo fossi dimenticata, ecco che Michael e Emily venivano giusti giusti a ricordarmelo, So ego, then, is the absence of true knowledge of who we really are, together with its result: a doomed clutching on, at all costs, to a cobbled together and makeshift image of our selves, an inevitably chameleon charlatan self that keeps changing and has to, to keep alive the fiction of its existence.” Parola di Sogyal Rinpoche – “The Wisdom of Egolessness” from “The Tibetan Book of Living and Dying.”
…very deep….lots to ruminate over
Il tuo scetticismo di fondo ti salva dai ciarlatani e dalle illusioni orientali, e permette a noi lettori di seguirti come si segue la mosca sul vetro, che pare salire su case e montagne, e invece è lì, a due centimetri dal nostro naso…