(…) La letteratura sulla felicità è immensa, a iniziare da Epicuro e forse prima, ma a lume di buon senso mi pare che nessuno di noi sappia dire che cos’è la felicità. Se si intende uno stato permanente, l’idea di una persona che è felice tutta la vita, senza dubbi, dolori, crisi, questa vita sembra corrispondere a quella di un idiota – o al massimo a quella di un personaggio che viva isolato dal mondo senza aspirazioni che vadano al di là di una esistenza senza scosse, e vengono in mente Filemone e Bauci. Ma anche loro, poesia a parte, qualche momento di turbamento dovrebbero averlo avuto, se non altro un’influenza o un mal di denti.
che ci rivela di corrispondere al nostro sentimento, magari l’esaltazione per una vincita al lotto, il raggiungimento di un traguardo (l’Oscar, la coppa, il campionato), persino un momento nel corso di una gita in campagna, ma sono tutti istanti appunto transitori, dopo i quali sopravvengono i momenti di timore e tremore, dolore, angoscia o almeno preoccupazione. Inoltre l’idea di felicità ci fa pensare sempre alla nostra felicità personale, raramente a quella del genere umano, e anzi siamo indotti sovente a preoccuparci pochissimo della felicità degli altri per perseguire la nostra. Persino la felicità amorosa spesso coincide con l’infelicità di un altro respinto, di cui ci preoccupiamo pochissimo, appagandoci della nostra conquista. Questa idea di felicità pervade il mondo della pubblicità e dei consumi, dove ogni proposta appare come un appello a una vita felice, la crema per rassodare il viso, il detersivo che finalmente toglie tutte le macchie, il divano a metà prezzo, l’amaro da bere dopo la tempesta, la carne in scatola intorno a cui si riunisce la famigliola felice, l’auto bella ed economica e un assorbente che vi permetterà di entrare in ascensore senza preoccuparvi del naso degli altri. Raramente pensiamo alla felicità quando votiamo o mandiamo un figlio a scuola, ma solo quando comperiamo cose inutili, e pensiamo in tal modo di aver soddisfatto il nostro diritto al perseguimento della felicità.
È che la dichiarazione d’indipendenza americana avrebbe dovuto dire che a tutti gli uomini è riconosciuto il diritto-dovere di ridurre la quota d’infelicità nel mondo, compresa naturalmente la nostra, e così tanti americani avrebbero capito che non devono opporsi alle cure mediche gratuite – e invece vi si oppongono perché questa idea bizzarra pare ledere il loro personale diritto alla loro personale felicità fiscale.
(Articolo di U. Eco, L’Espresso, Marzo 2014)
Foto mie
This article is too simplistic and and does not offer any insight or cause to pause. It would be also too simplistic for me to try to critique it in a short comment such as this, so I will not. (My opinion only, of course)
Condivido pienamente l’affermazione che la felicità è un istante derivante da……
e pensare alla felicità altrui spesso implica perdere l’istante che ci compete…..purtroppo per molti.
Per me la felicità è l’appagamento di un bisogno, quindi è necessariamente personale.
Se sono affamata e mangio sono felice… se sono affamata vedere altri che mangiano non mi rende felice!
I agree I agree I agree (devo ripeterlo sennò il msg è troppo corto e non passa).
S.