No tragic, no magic

Aristotele diceva che la tragedia, il cui gesto estremo imita la realtà, ci fa approdare, attraverso l’orrore e la pietà che provoca, attraverso la catastrofe, alla catarsi, e alla purificazione, che raggiungiamo da spettatori (e in quanto tali, dall’esterno) fino a uno stato di serenità ed evitando così di lasciarci le penne.
Sarà forse per questo che in viaggio io mi sento come a teatro? (E inseguo le catastrofi altrui per dimenticarmi delle mie?).

Facciamo chiarezza, e soprattutto: sincerità, altrimenti è inutile che passi le mie domeniche su questo blog a prendere in giro me e chi mi legge. E allora comincio col dire che nei giorni precedenti sono stata sì impegnata su più fronti, il più tragico dei quali è il fronte Tinder.com; a seguire la Domanda di trasferimento; e last but not least una approfondita disamina della cosiddetta Cancel culture (o cultura Woke), di cui tanto si sente parlare, e che trova un esponente illustre nel mio ex-marito, sul quale nelle prossime pagine di questo blog infierirò senza pietà.

Adesso però concentriamoci sull’India, prometto di ritornare presto su quei fronti.

Ché a ripensarci, non è poi vero che in viaggio ci si dimentica delle proprie catastrofi. E a breve ne avrete un assaggio. Al contrario! Ma malgrado ciò, la via tragica resta per me lo strumento migliore in grado di farmi penetrare – e spesso capire – di più e più a fondo. Di avere una visione più autentica delle cose. Di vederle – ed esprimerle – per quello che sono. Non ci si guadagna in gioia o in salute, no, ma in conoscenza e verità. Ti becchi l’esperienza completa. Non l’abbonamento “base” (tipo quello che su Tinder ti fa mandare solo i like) : ti guadagni il Pro! Per capirci, ti imposti il tuo account esistenziale personale, non “accedi” con google o facebook per fare prima, ti fai una opinione tua dei fatti, della realtà che esplori, per conquistare la quale occorre scomodarsi parecchio.

L’argomento comodità o scomodità in viaggio? ha fin da subito costituito materia di dibattito fra me e il mio traveling companion (lui avrebbe preferito “non dico 4 stelle, ma almeno dove l’acqua calda non va prenotata la sera prima!”) . La stessa è stata a lungo motivo di scazzo fra me e l’ex-American love of my life sul finire del nostro matrimonio.
Why must you suffer?
Serve andare per forza a casa della gente? Mangiarci insieme, magari con le mani? Lavargli la schiena ? (Mi è successo con una matrona tunisina anni fa, in un bagno molto turco, prima io a lei, poi lei a me). Purtroppo di quello splendido tragico viaggio non ho scritto niente perché lo passai a litigare con l’ex-husband.
Ricordo anche un paio di diverbi pesanti con alcuni occasionali e sterili compagni di viaggio, collezionisti compulsivi di moschee, pinacoteche e città storiche. I tipi che a scuola non facevano un cazzo, in gita pensavano solo a fumare e a limonare di nascosto, interessati a tutt’altro che all’arte e alla storia, poi con l’età son rinsaviti e guardali ora: fan agguerriti di Alberto Angela, scaricano guide, prenotano musei in anticipo, postano storie, reel, commentano…
Ragione per cui spesso viaggio sola.

I walk on the wild side.

Ovviamente, esaurire l’argomento in questo unico post, dopo essere ormai rientrata alla base da più di un mese – lo zaino da trekking sostituito con quello marca Ikea che contiene astucci, dadi colorati, colla, righelli, semenze e caramelle – senza aver avuto il tempo di rileggere i caotici appunti di viaggio, e soprattutto, grazie a questo schifosissimo WordPress che dovrebbe chiamarsi a giusto titolo ShitPress, dicevo, ovviamente è impossibile.
La conoscenza va saputa gestire. Organizzare.
Come coi sogni che andrebbero scritti appena svegli, sennò evaporano.

Quindi, prima che svanisca del tutto, ecco un po’ di India per immagini.

(Se cliccate sulla singola foto, si ingrandisce; altro clic e si chiude. Se girate in orizzontale il cell, anche meglio).

Le chicken wings come se le sognava l’amico mio ex-pilota:

E la loro versione tragica.

Il tanto agognato taxi che non abbiamo mai preso . . .

. . . e quello locale.

Pseudo-Indian-continental breakfast

Morning Chai in una fredda mattina di Delhi con il sole avvolto nel cellophane.

Five-o’clock tea.
Il Chai buono come in strada negli albergoni non c’è, sa troppo di Starbuck e poco di India.

E infine. . .

La tragedia sfiorata della mia Bialetti che ha rischiato le ustioni di primo grado.

Okay, dopo un po’, Chai anche ciao, e W il coffee!

Comments 3
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Prev
A cosa servono le trajedie?
Next
Torno subito