Ottobre 2010
Ore 18 e trenta circa e pronti all’imbarco siamo io e un cane che qualcuno ha dimenticato dentro una borsa. Mi rendo conto che sto scrivendo più che altro per riprenderci la mano, abituata ormai più a fare foto e torte salate. Il cane si gira dall’altro lato, vuoi vedere che Tabucchi si è reincarnato, stolta che non sei altro, o tu che programmi viaggi per scriverci su così gli altri li leggono e ti dicono, ma che brava, ma che bello, complimenti…
Vien da pensare agli sfigati che programmano il sesso per fare figli. E a quei prolifici che hanno pure il coraggio di trovarci da ridire. Ce ne avrà di figli il signor Tabucchi? E li avrà programmati o gli saranno venuti per magia? “Un luogo senza saperlo ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati.”
Io, la prima volta che ho seriamente prestato attenzione a Las Vegas è stato quando hanno inaugurato il Venetian. Sarà unadozzina di anni fa. Prima di allora per me Las Vegas manco esisteva. La consideravo un non-luogo. Una finzione mass mediatica. Una cosa che tipo vai là e non ci trovi un cazzo perché nottetempo è arrivata la troupe e ha smontato tutto. Quell’anno avevo letto un articoletto su Repubblica che ne parlava. Che in effetti come città c’è da dire che se ne parla. E l’articoletto diceva che avevano costruito una Venezia nel deserto, che sorgeva a pochi passi da Broadway, Parigi… con la laguna, le gondole e tutto il resto. E che il sindaco della Venezia vera si era incazzato. Ma in effetti non c’è una legge che vieta di riprodurre una città. Mi ricordo anche che non avevo nemmeno commentato la cosa, perché un posto simile cosa vuoi commentare? Non ci avrei mai messo piede.
Per la serie Never say never…
Mi ripeto che la devo smettere di preoccuparmi. E di pensare a Tabucchi. Dalla Economy Class arrivano scoppiettii di risate. Italiani a bordo. Il volo era anche targato Alitalia. L’ho letto sul display al gate. Altro scoppiettio. Come nella poesia del Carducci lo spiedo. San Martino sta per arrivare. Lo spiedo sul ceppo che gira. Il cacciatore sull’uscio, la nebbia, il Maestrale, i versi finali non me li ricordo mai. Quelli tristi e neri. Che siccome da bimba ero intelligente, odiavo preoccuparmi e le preoccupazioni. Poi ho fatto un bel tirocinio, tentato il concorso, m’ha dato il primo premio.
Non faccio in tempo ad addormentarmi che mi svegliano che siamo arrivati. Ladies and gentlemen, we inform you that we have started our descent on Las Vegas. Ho dormito tutto il tempo senza nessuno a fianco, una di quelle cose che non ha prezzo anche se non mi sarebbe dispiaciuto trovarci il cagnetto di prima. Potrei scriverci un libro su Las Vegas. Ooops, ma che sbadata, io l’ho scritto. Chi fosse interessato, basta una mail. Invece sulla diga di Hoover ho un sacco di appunti. E già, caro Antonio, lo sapevo che un giorno o l’altro ci avrei stoltamente scritto su qualcosa. E siccome nel libro non ci stava ci ho fatto una fiaba. La vuoi sentire?
Mi stropiccio gli occhi, pulisco il finestrino, mi ci schiaccio contro, tutto buio tranne il piccolo – si fa per dire – Goldrake che dorme in basso con la lucina accesa. Altrimenti si spaventa. Se penso al mio di spavento la prima volta che l’ho visto… Ladies and Gentlemen, ecco a voi la Hoover Dam!
La Marina la intuisco da qualche lucetta tipica e inconfondibile dei natanti, un enorme buco nero di nome Lake Mead. Un lago che non è un lago creato da un fiume che qualcuno ha idrologicamente modificato. The lake per i las veghiani, che lo riveriscono con l’articolo determinativo per distinguerlo dai “finti” dello Strip. E un altro colpo messo a segno dalla nostalgia mi sorprende alle spalle. Provo a decifrare la sensazione di fastidio che mi prende ogni volta che lo vedo, e mi riviene in mente la botteguccia di mia nonna nell’antica Alontion, che lei piazzava di volta in volta in sala, altre in camera da letto, poi traslocava nel casalino dirimpetto, ibridando generi (alimentari) e contenuti, e confondendo i clienti che di volta in volta ci comparivano in camera, nel tinello, chiamando con voce sommessa: Donna Peppa! Donna Peppa! Nun chilu ‘i farina… N’anticchia ‘i tumazzu… Mia madre si arrabbiava a mostro. Mai quanto me ogni volta che rivedo e ripenso a questo falso contenente. In America c’è pieno. Di vuoto. Tanta scena, tanti fronzoli, tanto casino… per niente.
Io che sputo nel piatto dove mangio?
A parte il fatto che quel che c’è dentro è di produzione propria, grazie anche a un team di spedizionieri carraresi non indifferenti, mia mamma e la mia best friend, che mi recapitano farro della Garfagnana, porcini apuani, origano siculo, bottarga di tonno… Secondo, lamentarsi fa bene, se non alla salute, alla scrittura. Se Mark Twain non si fosse lamentato del cibo europeo (sic) durante il suo vagabondare intorno al mondo, non ne sarebbe uscito innocente all’estero. Io, cerco di uscirne viva. Missione quasi impossibile, perché (terzo): in America si mangia male. Nel novantotto percento dei casi. I due che si salvano sono casa mia, dell’altro ne riparliamo.
In America in generale non gusti la cosa, la sua vera essenza, ma un’idea di essa. Una parvenza. Las Vegas ne è l’esempio più lampante. Falso contenitore per eccellenza. Come nella canzone di Endrigo. La casa molto carina senza soffitto e senza cucina. Las Vegas è un non-luogo, senza passanti, senza erbacce, senza cacche di cane… Degli esseri umani è rimasto l’alone (come quello attorno al lago Mead a mano a mano che le sue inutili acque evaporano). Una parvenza. Perché un giorno di non molto tempo fa, sono arrivati gli Ultracorpi e hanno invaso il deserto del Mohave. I baccelloni vuoti li hanno seppelliti sotto la sua sabbia, gli umani li hanno dati in pasto a Goldrake o sono finiti sotto un lago che non è un lago, è un’idea.
Una vera genialata. Scaturita una settantina di anni fa dalla mente del signor Elwood Mead, un ingegnere di Patriot, padre di famiglia timorato di Roosevelt, il quale apparsogli in sogno un bel giorno gli fa: Figliolo, perché non vai in giro per il mondo a sbarrare i fiumi troppo turbolenti? Sai, da queste parti l’anarchia non ci garba. In cambio ti regalerò l’immortalità e un lago tutto tuo dove andare a pesca di trote e a rinfrescarti le membra bruciate dal sole dello Utah. Il nostro non se lo fa ripetere due volte e l’indomani stesso si mette immediatamente al lavoro, chiama a raccolta gli altri confratelli protettori della fauna e della flora, che dopo qualche sopralluogo concordano di togliere di mezzo il Boulder Canyon che tanto non serve a un cazzo, se ne sta semplicemente lì in mezzo al deserto a occupare spazio, tanto vale trasformarlo in un lago.
Sfido io che da queste parti son sempre lì a ristampare atlanti e cartine e mappe nautiche: ogni anno spunta un nuovo affluente o sparisce un emissario – tutto grazie alle cure attente dei protettori della fauna e della flora, che piazzano dighe a destra e a manca, cercando di tenere a freno fiumi troppo irruenti. Fiumi senza ostacoli – lusso economico o necessità ecologica? Mi ricordo di averlo trascritto da qualche parte, su qualche sacchetto o sottobicchiere, anche volendo non ho tempo di cercare fra gli appunti, Ladies and gentlemen, thank you for choosing Delta, l’hostess ha già aperto il portellone, ne riparliamo la prossima volta.