Pranzo e cena nel “Phố Cổ”

Oggi vi voglio parlare del co-protagonista di questo viaggio, che nel bene e nel male racchiude una serie di eccessi (di yin? di yang? vedete voi… chi vuole, legga qua) : il cibo di strada. Ma non il globalizzato e banale “street food”, la boiata unta e busunta che fanno a Carrara in Piazza Alberìca ogni tanto. E a Sarzana, a Massa, a Lodi, a Follonica, a Latina, a Frascati…
Premesso che il migliore del mondo si trova a Palermo, quello del PhốCổ di Hà Nội è piuttosto spettacolare, e si merita un secondo posto, se non un ex-aequo. Ma non vi impressionate: il Phố Cổ di Hà Nội non è un rogo, è la città vecchia. Tutti ‘sti accenti, giusto per tirarmela un po’. C’è chi torna dalle vacanze col sandalo, il tatuaggio, il tamburo sciamano. Il mio cappello a cono l’ho lanciato in un fiumetto durante una gita in bici a Tam Coc, esasperata per il caldo che mi faceva e perché si muoveva in continuazione, rischiavo di finire nel canale e non mi sembrava il caso. Il tratto locale in più per me sta nella lingua. Perché dalla lingua si vengono a conoscere un sacco di cose sulla cui attendibilità spesso si può mettere la mano sul fuoco. Molto più che con qualunque libro di storia o slogan turistico.

La lingua per me è la guida turistica migliore. Il mio viaggio è ormai ben oltre il giro di boa, e io so salutare, ringraziare, esprimere il più o meno alto gradimento. So chiedere, C’è mela? C’è Papaya? Ranbutan? Efferalgan?!


Le figuracce son sempre in agguato.

Ma in posti come questi, così lontani da noi in tutto e per tutto, ci vuole molta faccia tosta per farsi avanti e scoprire e imparare. Questa gentile signora si è tranquillamente seduta qui sul marciapiede assieme a me, a sgranocchiarsi uno sgabeo alla banana. Nello sfondo, il mio personal chef intento a prepararmi il pranzo. Fa un taufu che sembrano tocchetti di nuvole paffute e dense di un vapore gustosissimo. Capita spessissimo di condividere la mensa con qualcuno perché i tavolini sono per gli gnomi e ovviamente tendono a far sedere più persone possibile, dunque se i posti son tutti occupati, ti siedi in braccio a qualcuno. In questo caso però non c’era nessuno, e lo sgabeo lo aveva comperato dalla donnina qualche metro più su. Forse le sono semplicemente piaciuta.

 

     
    

 

 

Un efficiente servizio di mototaxi garantisce un capillare approvvigionamento 

 

di vettovaglie e strumenti per la ristorazione.

 

 I drink per l’apericena arrivano a piedi…

 

…ecco i salatini .

E’ divertente. Ma occorre essere easy. Perché dato che l’unico mezzo di refrigerazione sono i ventilatori, sia dentro che fuori, da parete (se sei dentro) o da marciapiede (se decidi di star fuori), è un continuo svolazzare di riccioletti di cleenex (unti, bisunti, umidicci…), e di fogliame vario: stuzzicadenti, gocce di lime –  insomma ci vuole stomaco. Che poi però è ripagato. Qui sotto siamo in Phò Yen Thài, la mia via gastronomica preferita, vicino al mitico Nova Hotel, albergo che per me di stelle ne ha accumulate più di cinque.

 

   

   

   

 

Vi chiederete dove sono i tavolini e tutto il resto. Compaiono per magia a una certa ora, a volte non si capisce da dove. Stessa cosa con il cibo – ed è bello che sia così – non sai mai esattamente che cosa mangerai. Indichi il tabellone, se c’è e se sai riconoscere il nome, oppure punti il piatto di qualcuno che sta mangiando qualcosa. Ti siedi, ti guardi intorno: sulle prime, non c’è mai niente fuori, non capisci dov’è la cucina, dove sono gli alimenti, i condimenti (a volte è meglio non sapere). Poi per magia salta fuori una salsetta che qualcuno ha appena preparato qualche metro più in là, un brodino per i noodles, il riso da sotto il tavolino, una grattata di qua e un intingolo di là, ti confezionano veri piatti da re.

 

    

   

 

 

Spesso il problema è capire se si tratta di un locale dove mangiare, di una ferramenta o merceria, o di casa di qualcuno. Ho scoperto che la bettoletta sotto casa di Trang, dove vado a fare l’happy hour con i chả giò e la Bia Hoi, non è un ristorante. E’ un misto di tutto a conduzione pluri-famigliare, dove all’imbrunire il capofamiglia, impiegato nelle truppe armate, smontato dal lavoro, dà una mano a sgozzare polli e a farcire magnifici involtini primavera, i chả giòLa moglie fa i bánh cuốnLa cognata frigge il tofu. E salta le verdure. Per sé e per la famiglia. E io che ne sapevo? E’ difficile intendere i discorsi, capire se è una riunione famigliare o se chi mangia, paga. Le prime tre volte il secondo l’ho mangiato a ufo. Pagavo solo i chả giò e la birra. Indicavo nei loro piatti. Dicevo: “molto buono, prego (versa pure)!”, poi mi sedevo e loro mi riempivano il piatto di cibo. Che non era in vendita. Quando imbarazzatissima ho chiesto a Trang di fargli le mie scuse, non hanno voluto un dong. Non c’è stato verso di fargli accettare i soldi.

Chiedere è lecito e rispondere è cortesia. E la cortesia, come il riso, da queste parti non manca mai.

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