[av_dropcap1]A[/av_dropcap1]fugir è un’espressione portoghese di commento a una cosa, spettacolo, evento di pessima qualità. L’ho scoperto anni fa a Lisbona tentando di leggere cosa davano al cinema. L’ho trovato tanto estremo quanto sincero e appropriato. Quando la realtà è di pessima qualità: meglio fuggire: su un’isola, dentro un libro, un quadro, un film…
Il ricco editore Fausto Di Salvio, fortemente stressato dal proprio lavoro e stanco della monotonia di Roma, parte per l’Angola, esotica ex colonia portoghese, alla ricerca del cognato di cui da più di tre anni non si hanno notizie. Di Salvio trascina nell’impresa anche un suo dipendente, un ragioniere marchigiano poco entusiasta, e seguendo le tracce del cognato i due incontreranno personaggi eccentrici, truffatori, mercenari e straccioni, fino a raggiungere, dopo disastrose avventure, la tribù dove Titino, che ha preferito una vita di espedienti alla più comoda ma banale vita in Italia, è diventato lo stregone del villaggio. Più per il rischio di essere raggiunto da “Leopardo” e dalla sua banda armata, una delle sue numerose vittime di truffe, che per le insistenze del cognato, Titino decide di ripartire con quest’ultimo verso l’Italia. Una volta salito sulla nave però vede la sua tribù al completo che dalla riva lo chiama a gran voce pregandolo di restare…
non credo proprio, ne a Joyce ne a Pound ne a Sterne. Tanto meno a Dante.
Forse a Papà Hem
… e si può sapere perché?
SP