Scaricare la paura

9 luglio, 2021

Stamani mentre si apprestavano a tamponarmi il naso, pensavo al mio viaggio a Chios l’anno che è morto mio padre, e a questa idea che mi ero messa in testa di andare a ricomporre i pezzi, a rincollarli: i miei pezzi andati in frantumi, prima che se ne perdessero alcuni. L’infermiera mi fa, Stia tranquilla che è solo fastidio e dura pochissimo, ma io che non sono Drusilla Foer, ero angosciata per via di una cosa che ho visto ieri sera su fb ma non c’è verso che la ritrovo, una raffigurazione molto impressionante della ghiandola pineale localizzata nel cervello, dove per mostrare meglio si vede un dito infilato nella narice e da lì penetrare dentro la scatola cranica, ohibò, ma non c’è verso di ritrovarla. La raffigurazione. E all’idea di questa cosa che ti va su per il naso e magari arriva al cervello e fa dei danni, fa fuoriuscire la mia materia grigia preziosa.  Quell’anno combattevo una battaglia impari con il Dio Pan , che si era messo a ridarmi la caccia. Mi ero letta il panico quotidiano, di Christian Frascella, dove la paura ti piove nel cervello, e c’è un pezzo per me esagerato che fa così:

“Le crisi venivano, arrivavano dalla bassa natura delle cose, dallo sporco delle cose, dalla sozzura e dalla vergogna, dalla colpa, dalle magre illusioni tradite – arrivavano e mi schiantavano come da un’altezza siderale. Cascavo giù e – occhi aperti sul vuoto – mi preparavo a morire. E morivo. Una morte di un’ora, di un’ora e mezza. Poi tornavo inutilmente a vivere. La lunga morte passeggera che era il panico durava più o meno quanto un film. Una o due volte al giorno. Senza  preavviso, altrimenti che paura sarebbe? Giorno, notte, prime luci, ultimi  bagliori – era lo stesso. Non potevo prevedere il momento. Però sapevo che sarebbe arrivato.
[…] Cosa  facevo, come le contrastavo?
Me le sudavo a letto. Me le stringevo tra le mani con le coperte. Me le ingoiavo incandescenti giù per l’esofago e lo stomaco e la pancia. Me le tremavo. Me le  piangevo. Esplodevano simili a temporali estivi, poi si allontanavano – attorno a me l’odore della polvere.
Ridevo di  me. Piangevo per me.”
 (Christian Frascella, Il panico quotidiano)

Prima di un viaggio io ho sempre un po’ paura di perdermi, di andare alla deriva con il corpo e con la mente, di rivivere l’abbandono in mezzo a una strada buia perché parlavo troppo e assordavo il mio caro padre. A-ban-don, al bando. E lì sì, in quel quel momento, per dirla con Frascella, “mi è piovuta in testa la paura”.  Dopo anni, non solo continuo a parlare troppo, non riesco a digerire quell’esperienza. O a vomitarla una volta per tutte.

To let it out, to discharge it.

E mentre l’infermiera raccoglieva muco, io ho ricordato a Palermo quando la nostra trainer Caroline ci fece soffermare sulla multivalenza del verbo e sostantivo (To) discharge. When do you have a “discharge”? Ognuno dà la sua, poi Alyssa alza la mano e dice, Tipo quando si ha una secrezione nasale… E tutti ridono e si schifano un po’, perché gli anglosassoni si sa, il troppo espilcitamente corporeo è sconveniente, ma Caroline, più di palermitana che Mancunian ormai, dice okay, that’s right, it’s still stuff that comes out, è comunque roba che fuoriesce.

I miei students sono quindi pregati di prender nota:

                                        To discharge:

  1. a person or thing that is discharged;
  2. dismissal or release from an office, job, institution, etc;
  3. the document certifying such release;
  4. the fulfilment of an obligation or release from a responsibility or liability;
  5. the act of removing a load, as of cargo;
  6. a pouring forth of a fluid; emission;
  7. the act of firing a projectile;
  8. the volley, bullet, missile, etc, fired;
  9. a release, as of a person held under legal restraint;
  10. an annulment, as of a court order;
  11. the act or process of removing or losing charge or of equalizing a potential difference;
  12. a transient or continuous conduction of electricity through a gas by the formation and movement of electrons and ions in an applied electric field.

E insomma che non sono ancora partita e son già stanca, e anche avverto sintomi strani dopo la raschiatura e tamponatura mi sento la gola un po’ così.

Passo da un articolo all’altro, da un libro all’altro da una stanza all’altra da una cosa da fare all’altra, e ce ne sono mille. Non capisco nemmeno io perché tutto questo affanno e ansia, non credo sia per il viaggio in sé ma per la paura di venire puniti, braccati, fermati, quarantenati…

Ma sì, cambiamo argomento…

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