Essendo stata catapultata fuori dalla stanza, ho liquidato troppo in fretta il bar arabo di fronte alla Stazione Centrale (google vi dirà il resto), dove mi hanno fatto un tè marocchino – buonissimo! – per farsi perdonare che oggi – domenica!! – non avevano la treccina.
Devo spenderci due parole, perché oggigiorno, anche a Palermo la gentilezza non è così automatica. Se vuole se la può andare a pigghiare da un’altra parte (detto con gentilezza) e io intanto ci preparo u tè.
(Sì, lo so, lo straccio lordo nello sfondo non è il massimo, ma il tè era buonissimo.)

L’intrattenimento musicale un po’ meno. Ma dai…

Al bar pasticceria il Bacio nero, due isolati più in su, gentilezza una tanticchia meno, ma treccine in abbondanza! Incredibile pensare che tanta bontà costi un euro e cinquanta, quando a Marina di Carrara al bar cristallo una valdostana di 4 cm per 6 te la fanno pagare quasi il doppio.


Quindi, dov’eravamo rimasti?
Ah, al motivo di questo viaggetto siculo, la cui ragione principale è sì la zia Grazia; la sotto-motivazione è qua sotto: le ricottielle di Francesco.


Qua non si dice ricottina, ma ricottiedda, e fra i due rispettivi sapori, c’è una abisso di differenza di gran lunga maggiore che fra i due diminutivi siculo e italiano. L’autore di questa delizia è un mio cugino pecoraro, il Francesco, appunto, che vive lontano da tutti e da tutto con moglie e prole, e con il latte delle sue duecentoquaranta pecore crea dei veri capolavori. La madre, che lo coadiuva, si occupa delle due fasi intermedie della preparazione, che consistono nel :
controllare le ricotta durante l’essicazione al sole, dopo un mese spazzolarle dal sale, quindi infornarle avendo cura che non si scuriscano troppo. Infine eliminare ulteriori residui di sale, e impacchettarle sottovuoto affinché restino umide e tenere al punto giusto: buone per essere grattugiate, o mangiate sui crostini spalmati di paté di olive, ovvero lasciate cadere a pezzetti in un risottino zucca e salsiccia per gustarsele morbidissime a sorpresa (ma non sciolte) fra una forchettata e l’altra.

Io, non so se ve l’ho detto, ma da circa due anni mi sono appassionata nell’arte di far felici i palati (almeno quelli!) e accolgo nella mia coloratissima cucina ospiti americani (who else?)
che si sono innamorati della ricottiedda di Fracesco:
I love reekoteeaydah! oh yeah !

Giusto giusto Lunedì prossimo ho l’ultimo gruppo, la ricottiedda era finita, non li potevo deludere.

Ah, e qua sotto il mio giro a Ballarò, vero souk siculo-arabo!

Comments 4
  1. Un bel modo di ricordare Palermo,
    Anche se hai dimenticato la granita.
    Ricordo con nostalgia la vucciria e i giardini intorno al porto vecchio, con qui magnifici, giganteschi tronchi secolari…
    Peccato per il traffico, direbbe benigni

    1. La vuccirìa non c’è praticamente più, solo qualche banco ma molto globalizzato. Ballarò è un vero suk.
      🙂
      Bookmark it!
      S.

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