Sabato 19/4, Aeroporto di Linate
Mentre guardo con immutato stupore vizi e virtù della gente in attesa dell’imbarco, rifletto che celebrare il Passover con due travelling companions sconosciuti (ma con cui si sa di condividere la passione del pass-over, nel senso di passaggio verso un altrove) è un bell’affare… Al clou di tale riflessione qualcuno mi manda un messaggio di “Buona Resurrezione a tutti voi”, però non si è firmato/a e non ho capito chi sia.
Pregasi di identificarsi.
“And the LORD said to Moses and Aaron in Egypt: ‘This month is to be for you the first month, the first month of your year. Tell the whole community of Israel that on the tenth day of this month each man is to take a lamb for his family, one for each household. Quella stessa notte il popolo ebraico, guidato da Mosé, avrebbe mangiato la carne arrostita sul fuoco accompagnata da erbi amari e pane azzimo. Mangiatene in fretta; questa è la pasqua di Dio. (Esodo 12, vv. 1-3,8, 11).
Quando la Pasqua si avvicinava a Monteverde erano cene e arrostimenti fino all’alba, il solo ingrediente amaro era che mio padre si arricampava sempre come non si sa, fortuna che qualche amico che manteneva il controllo non mancava mai di riportarlo a casa. Noi – io e la madre – in haste – di gran fretta –consumavamo il pasto, quindi, già esperte di “fight or flight response”, al combattimento sceglievamo la fuga. La salvezza. Ignare che , al pari degli ebrei saremmo state destinate a non raggiungere mai una terra promessa. La salvezza era effimera. Tornate all’ovile, dal nostro Signore, e si ricominciava daccapo.Altro giro, altro arrostimento, altra celebration, altro hang over. Nel senso che il passaggio che faceva mio padre ogni volta era dalle tenebre delle sue sbornie alla prolungata narcolessia, talvolta 2, 3 giorni dello smaltimento delle stesse, non un pass over, dunque, ma un hang over. Il terzo giorno resuscitava. E io e la madre, mettevamo mano alla fuga successiva. Ogni volta la fede nel passare oltre era forte, non l’ho mai persa , neanche adesso. Nemmeno a questo viaggio dove ho deciso di andare a rintracciare quei brandelli di origini che provengono da laggiù, e che ogni volta che osservo lo sguardo di zii e cugini, i loro sventolamenti di mani, sorrisi e scuotimenti di capo come solo laggiù sanno fare, volo verso il Medio Oriente, da dove so di provenire.
p.s. con zii e cugini il dramma era che ci si capiva; l’esito sempre disastroso. Laggiù, dato che di pharsi so meno di zero, sarà come sempre un esaltante e rilassante scambio di essenzialità e leggerezza
Aeroporto internazionale Imam Khomeini di Tehran , H. 23.00
Dimenticato il diario con gli appunti sull’aereo, me ne accorgo tardi, frattanto, aspettando che i miei due travelling companions cambino i soldi, cerco il modo per telefonare a casa, e non trovandolo mi consolo con una fetta di cheese cake… CHEESE CAKE? yes they can! (O non sarà mica che anche da queste parti vige il detto del buon Pendola padre, l’America ce l’abbiamo qui, o MERLA!)
Una gentile signorina all’uscita dal Baggage Claim, proprio in fondo alla scala mobile, accoglie le signore regalando una rosa rossa.
Gli assistenti di volo ci salutano poco convinti, come a dire, Ma chi ve l’ha fatto fare?
Ci incamminiamo verso l’uscita, non fosse per le scritte in Pharsi, direi che fra il Tehran e il Las Vegas airport, almeno nel settore pantomime, abbigliamento e “Food Stalls” non c’è molta differenza (inclusa la rosa rossa che spesso mi attendeva alla fine della scala mobile, sigh) … Io continuo a sospettare che se anche fra USA e IRAN facce e razze non collimano, usi, gusti e abitudini … Ma è ancora presto per dirlo. Finora le similitudine rimarcate si limitano, oltre a quanto già detto, alle impronte che ti prendono per concederti il visto, la pena di morte, le bandiere in ogni angolo.