What a wonderful world!

Quando ho scoperto di essere incinta, dopo che per quattro mesi avevo stressato il mio ginecologo e amico con continui test e domande, quasi quasi mi dispiaceva. Quando mi sono laureata che mi hanno dichiarato dottore eccetera, e dato anche il massimo dei voti cum laude, ho pensato, si sono sbagliati. Quando il pilota ha annunciato che mancavano dieci minuti al touchdown volevo tornarmene a casa.
Non lo so perché mi succede.
Sarà mica una sindrome anche questa? Eccessiva fuoriuscita di energie? Mentre tento di rinfilarmi gli scarponi, sotto di noi si avvicinano distese d’acqua infinite verdi e trasparenti, casette dai tetti colorati, un fiume enorme che dev’essere il  Sông Hồng, poi una bandiera rossa con la stella gialla, e mi commuovo.

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Ai Visti c’è un intoppino… Non con me, con due tipi in fila davanti che evidentemente non hanno il visto e speravano di farlo in loco. Mentre aspetto schiaccio play e parte il film, ed ecco che l’officer mi chiama, mi scruta dalla testa ai piedi… quindi: Madam Pe Ndho Lhàn? Ci risulta che lei cazzeggia sul web e dice cose a sproposito su di noi, sul nostro passato. E’ così? E poi cosa sono questi visti strani sul passaporto? Iran, USA… Confessi, madam, confessi!
Credo proprio si tratti di una sindrome.
20150930_191035Una volta una mia studentessa kazaka di italiano mi chiese cosa ci trovassi di interessante nei paesi rovinati. Lei scappava dalla desolazione – così diceva – e io ero curiosa di conoscerla, e la tempestavo di domande, chiedendole notizie su come fare per andare, il dove, il quando… 

Snow reflection Vietnam Memorial

La foto qui a lato è una specie di monumento ai caduti della guerra in Vietnam. Si trova a Washington DC. I due passanti sotto la neve si riflettono sulla superficie del pannello in pietra sul quale sono incisi i nomi dei morti. Mi sono purtroppo dimenticata di annotare il nome del fotografo e non riesco a ritrovarlo (una bella causa legale e ci leviamo   il pensiero.). Non sono mai stata a Washington DC, i nomi sono andata a controllarli su un’altra foto e sono solo di soldati americani. Ma è bene sapere che la Vietnam War, la guerra del Vietnam, i vietnamiti la chiamano the American War. Non sono loro che l’hanno decisa.

E’ la prima volta che qualcuno mi aspetta agli Arrivi con un cartello e il mio nome – correttamente!! – scritto sopra. Urrà! Per la serie quei cinque minuti di gloria che prima o poi spettano a tutti nella vita. A tenere il cartello è un omino di cui incrocio timidamente lo sguardo, prima sorride lui, poi sorrido io, si inchina lui, mi inchino io, gli do la mano o non si fa? Facciamo che gli do lo zaino, e tagliamo la testa al toro. Veloce ripasso di vocabolario essenziale, scambio di saluti e ringraziamenti, abbondanti gesticolii, e via che si va. Good morning Vietnaaaam! Cioè, good afternoon, che son le 4 del pomeriggio. 20150930_201711

L’omino, di cui ovviamente non so ripetere il nome, mima di aspettarlo a lato del marciapiede, e poi sparisce. Mentre attendo, comincio a sentire il primo ettogrammo disciogliersi in sudore, ci saranno minimo trenta gradi e un’umidità che mi ricorda l’incubo del Golfo del Messico. Mi do una spruzzatina di Deet che le culex si stanno passando parola, e mai abbassare la guardia. 

Il problema a questo punto è che di omini ce n’è in abbondanza. Sono tutti omini, e tutti si inchinano e propongono di darmi un passaggio. Quale sarà il mio? Mi viene in mente quel gioco americano Where is Waldo? Una specie di gioco “aguzza-la-vista-e-trova-l’omino. Ed ecco che si cominciano a palesare i motivi per cui sono venuta in Vietnam: imparare a pazientare. 

?????????? Metamorfosi del nemico

Lungo il tragitto cala il silenzio, quel silenzio che mi piace perché è rilassante e giustificato dal fatto che conosciamo solo una parola e mezza in media a testa sulle reciproche lingue. Non c’è imbarazzo. Dopo un po’ però, il mio istinto innato di voler comunicare anche coi sassi mi porta a romperlo e a cimentarmi nel mio fresco di zecca Vietnamese. E gli chiedo se il fiume enorme sotto di noi è il Song … come azzo era? Song river?? Yes? E abbasso il finestrino per indicare facendo fuoriuscire tutta la frescura accumulata a fatica dall’A/C che arranca e sbuffa nella nostra voiture che non ho mica capito di che marca è. Lui snocciola i suoi monosillabi melodiosi, e dice yes: ci ho preso! E’ il Song Hong! Poi per la serie non accontentiamoci mai, provo a chiedere quale dei due è il “rosso” e quale il “fiume” fra Song e Hong, e ci imbarchiamo in un duetto splendido dove lui ripete Mekong Song … o viceversa, non ricordo, e io faccio, wow! alla faccia dell’affluente! E lui continua ad annuire, sempre coi finestrini abbassati per cui la temperatura dentro comincia a brasarci tipo forno Delonghi, e infine aggiunge Saigon, e spiega che a Saigon c’è il Mekong Song; a Hanoi il Song Hong.

Aaaa…!

Gentilmente lo ringrazio (in Vietnamita grazie si dice Cam on, che spesso in inglese traduce, Ma fammi il piacere!), me ne sto zittina e mi godo la corsa verso Hanoi.

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I cappelli a cono qui ce li hanno davvero, e quasi tutti, non come in Messico che se gli nomini il sombrero ti ridono dietro.

Comments 4
  1. Madam Pe Ndho Lhàn, ora aspettiamo di vederti su una “motoretta” vietnamita con il vero cappello a cono.

  2. A ora che ritorni, forse avrai imparato veramente a comunicare anche coi sassi. Thanks for the update, nice photos!

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