Dec. 21st 2019: on the way to Philadelphia
Leaving New York (never easy)
Lascia andare quello che vuole andare,
lascia venire quello che vuole venire.
Tu rimani con ciò che rimane.
(Nisargadatta Maharaj)
Subito dopo la telefonata con la segretaria che si raccomandava i miei carichi pendenti, ho pensato che a Natale avrei fatto questo viaggio, e che lo avrei fatto con lei, il carico più pendente che ho. Mi sentivo così a terra che solo immaginare cosa non avrei inventato per camuffare il terrore del Natale mi toglieva il respiro. Certo lo so, corro il rischio di chi si avventura al supermercato con lo stomaco vuoto, e poi non si sa trattenere, non sa dosare la fame, non sa aspettare, giudicare saggiamente cosa acquistare e cosa lasciare sullo scaffale. Ha gli occhi più grandi dello stomaco. Che occhi grandi, per mangiarti meglio. La lontananza e la fame d’affetto trasformerebbero anche i più saggi in bestie feroci. E i miei cromosomi di libera professionista, troppo a lungo lasciati liberi per farsi ormai convincere che una malattia ogni tanto se la potrebbero pure permettere eccheccazzo, anche durante i giorni feriali, ma niente, non c’è verso, e anni di scampate influenze e bronchiti si sono abbattute su di me la vigilia della partenza. Il volo, per fortuna diretto, è stato un incubo. L’arrivo tragico, il proseguo newyorkese tremendo, e dopo 24 ore mi stavo chiedendo cosa ci faccio io qui, pronta a lanciare il mio bel carico pendente nell’Hudson!

Mentre il Greyhound attraversa morbido il confine fra New York e New Jersey, io mi godo il tramonto e finalmente mi rilasso perché c è qualcuno che si prende cura di me: che mi porta.
Grazie Ali, guida con prudenza.
[Continua in Il signor Hudson]